Le vie della Fede e della Ragione nella storia della filosofia medievale

Un'analisi del rapporto tra pensiero filosofico e teologia nel Medioevo

I. La definizione di un'epoca

Nell’approccio alla filosofia medievale saltano subito all’occhio due elementi problematici. Il Medioevo è un periodo estremamente esteso nel tempo e l’etichetta assegnata a tale età è posta successivamente per dare un senso d’insieme a dieci-quindici secoli di storia e di storia del pensiero profondamente diversi, ma con un elemento di fondo in comune. L'etichetta apposta al Medioevo fa sì che questa età venga definita per viam negationis: un'età di mezzo, al centro di altre due età che si definiscono, invece, più nel merito. Il Medioevo non ha un'identità precisa o, meglio, l’identità del Medioevo è data proprio dal suo essere un’età di passaggio: tra l'età antica dell'eccellenza e l'età moderna della rinascita, che si proietta verso un'affermazione totale delle possibilità della ragione.

Questo tipo di impostazione è quella prevalente nella storiografia illuministica, che ha voluto vedere nell'età antica la nascita della razionalità occidentale, nell'età medievale un suo abbattimento in tutti i settori culturali, e nella modernità la sua rinascita. In questa prospettiva non si può parlare di una vera e propria filosofia medievale: se la filosofia è per definizione l'utilizzo di una metodologia razionale ai suoi massimi livelli, la "filosofia medievale" appare come una contraddizione.

II. Il cristianesimo come "ritmo" della vita

Spesso si è voluto identificare “medievale” con “cristiano”, spostando il discorso sulla possibilità o impossibilità di una filosofia cristiana. Ciò ha condotto a pensare il Medioevo come un'epoca sostanzialmente solo teologica, avente come unico interesse la speculazione sul divino. Ma il Medioevo è innegabilmente ed essenzialmente cristiano. Il cristianesimo non è una delle alternative, ma il "ritmo" della vita del mondo occidentale: nessun ambito della cultura sfugge a una qualche relazione col cristianesimo. Bisogna quindi interrogarsi se questa valenza cristiana sia compatibile con la produzione della filosofia.

Contrariamente a un'opinione diffusa, la filosofia medievale non è "roba da preti". Sebbene la quasi totalità degli autori medievali siano inseriti in circuiti ecclesiastici (monaci, vescovi, papi), questa è una realtà non solo medievale, come dimostrano figure quali Erasmo da Rotterdam, Pascal, Rosmini o Cusano. Inoltre, molti dei monaci del Medioevo filosofico erano religiosi di rango "minore", tenuti a pochissimi obblighi.

III. Il confronto originario: San Paolo ad Atene

Per definire un punto d'inizio, è utile risalire ai primi decenni dell'era cristiana. Il cristianesimo ha avuto fin dalle origini un carattere evangelico ed evangelizzante: i cristiani non si limitavano a credere, ma volevano convincere, facevano proselitismo. Questo differenziava il cristianesimo dalle altre religioni e ne rendeva complesso l'assorbimento da parte di Roma. Mentre il Pantheon romano era aperto all'inclusione di tutte le divinità, il credo cristiano era monoteistico ed evangelizzatore: il Dio dei cristiani era l'unico e gli altri 'idoli' dovevano essere eliminati.

Questa caratteristica si confronta col pensiero filosofico nella predicazione di San Paolo, che nel 49 d.C. si reca ad Atene, la patria della filosofia, per un confronto diretto. Negli Atti degli Apostoli, Luca racconta del primo incontro tra cristianesimo e filosofia. È importante notare che qui non sono filosofi a parlare di cristianesimo, ma cristiani a discutere di filosofia con i filosofi.

«Mentre Paolo li attendeva ad Atene, fremeva nel suo spirito al vedere la città piena di idoli. Discuteva frattanto nella sinagoga con i Giudei e i pagani credenti in Dio e ogni giorno sulla piazza principale con quelli che incontrava. Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui e alcuni dicevano: ‘Che cosa vorrà mai insegnare questo ciarlatano?’. E altri: ‘Sembra essere un annunziatore di divinità straniere’; poiché annunziava Gesù e la risurrezione. Presolo con sé, lo condussero sull’Areòpago e dissero: ‘Possiamo dunque sapere quale è questa nuova dottrina predicata da te? Cose strane per vero ci metti negli orecchi; desideriamo dunque conoscere di che cosa si tratta’». Atti degli apostoli 17, 16-21

Paolo si espone quindi a una sfida notevole, parlando all'Areòpago, il luogo più conservatore di Atene. Con abile retorica, prende spunto da un'ara dedicata "Al Dio ignoto" per annunciare il Dio creatore, non circoscrivibile in un tempio. Il suo discorso viene tollerato fino a quando non menziona la risurrezione dei morti, un concetto che appare inaccettabile ai suoi ascoltatori e che decreta il fallimento dell'incontro.

IV. I tre binari del pensiero medievale

L'episodio degli Atti mostra un cristianesimo che cerca un confronto con la filosofia, un sentiero che sarà molto battuto nel corso del Medioevo. Tuttavia, esiste un'altra anima del pensiero paolino, più intollerante, espressa nella Lettera ai Colossesi.

«Badate che non vi si irretisca con la filosofia e vuoti inganni secondo la tradizione degli uomini, secondo gli elementi del mondo e non a misura di Cristo». Lettera ai Colossesi 2,8

Qui la filosofia è vista negativamente, come un ragionamento che si ferma al mondo e non riesce a pensare al trascendente. Questo incarna l'anima di quanti, pur conoscendo la filosofia, la eviteranno come un pericolo, poiché il pensare non è sempre compatibile col credere.

Lo stesso Paolo, però, offre una possibilità di mediazione. È importante precisare che la Lettera ai Romani è considerata da alcuni studiosi come apocrifa o parte della letteratura subapostolica, il che negherebbe la paternità paolina. Tuttavia, seguendo l'attribuzione tradizionale, questo testo offre una chiave di conciliazione.

«A partire dalla creazione del mondo, infatti, il suo essere invisibile – parlo della sua eterna potenza e maestà divina – attraverso il creato diventa visibile agli occhi della mente». Lettera ai Romani 1, 20

In quest'ottica, chiunque osservi l'ordine del mondo può intuire l'esistenza di un'Intelligenza ordinatrice. La vera filosofia non si ferma al mondo, ma intuisce nel Creato un ordine che costringe a pensare a chi lo abbia posto. L'opera di Paolo diventa così un pilastro su cui i Padri della Chiesa costruiranno l'edificio dell'ortodossia cristiana.

Ricapitolando, si delineano tre percorsi principali:

  1. La via del confronto tra fede e filosofia (Atti degli Apostoli).
  2. La via della diffidenza verso la filosofia come vuoto inganno (Lettera ai Colossesi).
  3. La via della conciliazione, in cui la ragione intuisce nel creato l'opera del Creatore (Lettera ai Romani).

V. Da Agostino a Ockham: il paradigma medievale

Come data di inizio del Medioevo filosofico si pone convenzionalmente il 354 d.C., anno di nascita di Agostino. Sebbene cronologicamente appartenga all'età tardo-antica, Agostino è fondamentale perché è il fondatore del platonismo medievale e il primo a dare vita a un sistema, filosofando il cristianesimo. Egli sperimenta la pensabilità razionale del cristianesimo, con l'intento di dimostrare che filosofia e fede possono dialogare e che la teologia è un ampliamento della fede nella ragione.

Questo paradigma agostiniano, ovvero il tentativo di tenere insieme la speculazione filosofica e quella teologica, dura fino al 1288, anno di nascita di Guglielmo di Ockham, con cui teologia e filosofia vengono separate. In questo lungo arco di tempo, la storia della filosofia medievale è la storia di pensatori che, pur avendo già la "soluzione" offerta dalla fede, sentirono l'urgenza umana di arrivarci con le proprie forze, filosofando a proprio rischio e pericolo in un contesto che lo riteneva inutile.

VI. Un'immagine emblematica: l'esegesi di Giovanni Scoto Eriugena

Per illustrare il rapporto tra fede e ragione, risulta efficace analizzare un'immagine emblematica attraverso l'interpretazione di Giovanni Scoto Eriugena, filosofo del IX secolo. Ecco il suo commento di un passo del Vangelo di Giovanni.

«Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino [...] Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava [...] Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro [...] Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette». Gv 20, 1-9

Nell'esegesi di Eriugena, il sepolcro di Cristo rappresenta la Scrittura. Giovanni, che arriva per primo, simboleggia l'Intelletto (la ragione), più veloce. Pietro, più lento, simboleggia la Fede. Sebbene l'Intelletto giunga prima, si ferma sulla soglia e lascia che la Fede entri per prima a comprendere la Scrittura. Solo dopo la Fede potrà essere supportata dall'Intelletto. Questa immagine riassume perfettamente il paradigma medievale: la ragione è più rapida, ma è la fede ad avere il primato nell'accesso alla Verità, con la ragione che segue per approfondire e comprendere.

VII. L'eredità del Medioevo nel pensiero moderno

La filosofia medievale non è un capitolo chiuso, senza legami con la modernità. Pensarla in questo modo è un errore. A tal proposito, risultano illuminanti le parole di Étienne Gilson, uno dei più prestigiosi studiosi della filosofia medievale del Novecento.

«Nulla di più falso che il considerare la filosofia medievale come un episodio che troverebbe in sé stesso la propria conclusione e che si può passare sotto silenzio quando si espone la storia delle idee. È dal Medioevo che escono direttamente le dottrine filosofiche e scientifiche sotto le quali si pretende di subissarlo [...] Bisogna quindi relegare nell’ambito delle leggende la storia di un Rinascimento del pensiero che succede a dei secoli di sonno, oscurità e di errore. La filosofia moderna non ha dovuto sostenere una lotta contro il Medioevo per conquistare i diritti della ragione; al contrario, è il Medioevo che li ha conquistati per l’età moderna, e lo stesso atto con cui il XVII secolo s’immaginava di abolire l’opera dei secoli precedenti non faceva che continuarla. [...] Per tutto il pensiero occidentale, ignorare il suo Medioevo significa ignorare sé stesso». É. Gilson, La filosofia nel Medioevo
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