Prima di intraprendere la sua "rivoluzione copernicana" del pensiero, il percorso filosofico di Immanuel Kant si inserisce nel solco del razionalismo tedesco, influenzato principalmente da Leibniz e Christian Wolff. In questa fase, Kant si occupa di questioni scientifiche (formula, ad esempio, un'ipotesi sulla nascita del sistema solare) e metafisiche, accettando l'idea che la ragione potesse, attraverso la sola analisi concettuale, giungere a conoscere la realtà ultima delle cose, inclusi Dio e l'anima.
Tuttavia, l'incontro con il pensiero dell'empirista scozzese David Hume fu per Kant un vero e proprio "risveglio dal sonno dogmatico". Hume aveva dimostrato con argomenti potentissimi che il principio di causalità, fondamento di ogni scienza e metafisica, non poteva essere giustificato né razionalmente (a priori) né empiricamente (a posteriori). Per Hume, la causalità era semplicemente un'abitudine della nostra mente, una credenza basata sull'osservazione di una congiunzione costante tra eventi.
Questa critica radicale mise in crisi le certezze di Kant e lo spinse a porsi una domanda fondamentale: come è possibile la conoscenza? E soprattutto, come sono possibili quei giudizi, come quello di causalità, che pretendono di essere sia universali e necessari (caratteristica della ragione) sia estensivi della nostra conoscenza (caratteristica dell'esperienza)?
Il primo passo fondamentale verso la soluzione di questo problema si trova nella dissertazione De Mundi Sensibilis atque Intelligibilis Forma et Principiis (La forma e i princìpi del mondo sensibile e intelligibile) del 1770. In quest'opera, Kant compie un passo decisivo, distinguendo nettamente tra:
La grande novità è che, secondo Kant, la conoscenza sensibile non è una ricezione puramente passiva dei dati. La nostra mente organizza le impressioni sensibili attraverso due "forme" o "strutture" a priori che le sono proprie:
Spazio e tempo, quindi, non sono proprietà delle cose in sé, ma strutture della nostra sensibilità, modi con cui il soggetto conoscente filtra e organizza la realtà. Questa intuizione è il germe della rivoluzione critica.
Il titolo dell'opera, pubblicata nel 1781, è una dichiarazione d'intenti. Analizziamolo:
La domanda centrale dell'opera è: "Come sono possibili i giudizi sintetici a priori?". Per Kant, un giudizio è l'operazione mentale con cui si connette un predicato a un soggetto (es. 'il cielo è blu'). Egli distingue tre tipi di giudizi:
La Critica è divisa in due parti principali: la Dottrina degli Elementi e la Dottrina del Metodo. La prima è di gran lunga la più importante e analizza gli elementi a priori della conoscenza.
L'Estetica (dal greco aísthesis, "sensazione") si occupa della sensibilità, la facoltà con cui riceviamo i dati attraverso i sensi. Kant dimostra che è proprio su queste forme a priori che si fonda la matematica come scienza:
Spazio e tempo sono le condizioni universali e necessarie attraverso cui ogni essere umano percepisce il mondo. Sono il "software" della nostra sensibilità che organizza il materiale grezzo proveniente dall'esterno.
Se la sensibilità è passiva, l'intelletto è attivo: esso pensa e unifica i dati forniti dalla sensibilità. La Logica Trascendentale studia le forme a priori dell'intelletto e si divide in due sezioni.
Questa sezione risponde alla domanda: "Come è possibile la fisica pura?". L'intelletto opera tramite concetti. Se i concetti empirici derivano dall'esperienza, esistono anche concetti puri o categorie, che sono le funzioni a priori con cui l'intelletto unifica e ordina i dati sensibili.
Kant identifica 12 categorie (tra cui unità, pluralità, causalità, sostanza) che rappresentano le modalità universali e necessarie del pensiero. Esse sono la condizione di possibilità di ogni conoscenza scientifica della natura. La fisica è possibile perché le sue leggi (come il principio di causalità) non sono derivate dall'esperienza (come sosteneva Hume), ma sono l'applicazione delle categorie dell'intelletto alla realtà fenomenica.
Il fulcro di questa sezione è l'"Io Penso" (o appercezione trascendentale): la suprema unità della coscienza che accompagna ogni nostra rappresentazione e che garantisce l'oggettività della conoscenza, unificando il molteplice sensibile attraverso le categorie.
Qui Kant risponde alla domanda: "È possibile la metafisica come scienza?". La risposta è no. La ragione (Vernunft), intesa come la facoltà che cerca l'incondizionato e l'assoluto, va oltre l'intelletto. Essa produce tre Idee trascendentali che non corrispondono ad alcuna esperienza possibile:
L'errore della metafisica tradizionale è stato quello di trattare queste Idee come se fossero oggetti reali, applicando ad esse le categorie che sono valide solo nel mondo dell'esperienza (fenomenico). Quando la ragione tenta di fare questo, cade inevitabilmente in errori e contraddizioni, le famose antinomie della ragione.
La conclusione della Critica della Ragion Pura è una sintesi grandiosa, che definisce i confini della conoscenza umana.
Le antinomie sono la prova di questo limite. Ad esempio, la ragione può dimostrare con uguale rigore sia che "il mondo ha un inizio nel tempo" sia che "il mondo è infinito nel tempo". Queste contraddizioni insolubili nascono proprio dal tentativo di applicare le nostre categorie conoscitive al di là del loro ambito legittimo.
Tuttavia, il fallimento della metafisica teoretica apre uno spazio nuovo. Le Idee della ragione (Anima, Mondo, Dio), pur non avendo un uso conoscitivo, hanno un uso regolativo: spingono la ricerca scientifica a procedere come se l'universo fosse un tutto ordinato e finalizzato.
Soprattutto, lasciando il mondo noumenico inconoscibile, Kant apre la porta alla morale. Se la causalità necessaria domina il mondo fenomenico, la libertà può trovare posto nel mondo noumenico. La domanda "Cosa devo fare?" non trova risposta nella ragione teoretica, ma richiederà una nuova critica: la Critica della Ragion Pratica.