Carlo V d'Asburgo (1500-1558) fu l'ultimo sovrano del Rinascimento a coltivare il sogno medievale di una monarchia universale cristiana. Il suo "disegno egemonico" non era solo un progetto di espansione territoriale, ma un complesso intreccio di ambizioni politiche e doveri religiosi.
Per comprendere il suo progetto, è fondamentale partire dalla sua eredità. Grazie a un'accorta politica matrimoniale dei suoi avi, Carlo si trovò a governare su un impero vastissimo:
Questo immenso e disomogeneo insieme di territori poneva Carlo al centro della politica europea, ma lo esponeva anche a innumerevoli minacce.
Il disegno di Carlo V si fondava su due pilastri principali:
Il suo progetto era anacronistico: l'Europa stava andando nella direzione opposta, verso la formazione di moderni stati nazionali che non accettavano alcuna autorità superiore.
La penisola italiana, frammentata politicamente ma ricca e strategicamente cruciale, divenne il principale teatro dello scontro tra Carlo V e il suo grande rivale, il re di Francia Francesco I di Valois. Per Carlo, il controllo dell'Italia, in particolare del Ducato di Milano, era fondamentale per collegare i domini spagnoli a quelli tedeschi.
L'Impero Ottomano, guidato dal sultano Solimano il Magnifico, rappresentava una seria minaccia:
Carlo V si impegnò personalmente nella lotta, guidando spedizioni come quella (fallimentare) di Algeri. Questo conflitto ebbe una conseguenza inaspettata: la Francia di Francesco I, pur essendo un regno cristiano, non esitò ad allearsi con Solimano in funzione anti-asburgica, un'alleanza che scandalizzò la cristianità ma che dimostrava come le logiche della politica di potenza stessero ormai soppiantando gli ideali religiosi universali.
La sfida più grande e logorante per Carlo V venne proprio dal cuore del suo impero. Nel 1517, Martin Lutero aveva dato il via alla Riforma Protestante.
Alla metà del secolo, Carlo V, stanco e malato, dovette prendere atto del fallimento del suo progetto universalistico. L'Europa era ormai irrimediabilmente divisa.
Consapevole che il suo immenso dominio non poteva essere governato da un solo uomo, tra il 1555 e il 1556 Carlo V abdicò, dividendo i suoi possedimenti:
Si ritirò infine nel monastero di Yuste, in Spagna, dove morì nel 1558. La sua abdicazione segnò simbolicamente la fine di un'era e l'inizio di una nuova Europa, dominata non più da un impero universale, ma da un equilibrio di potenti stati nazionali.
Filippo II (1527-1598) ereditò dal padre non un impero universale, ma un regno incentrato sulla Spagna. A differenza di Carlo V, che era un sovrano itinerante, Filippo fu un monarca stanziale. Stabilì la capitale a Madrid e da lì, attraverso un imponente apparato burocratico, governò i suoi vasti domini.
Il suo regno fu la continuazione, ma anche la trasformazione, del progetto paterno:
Se Carlo V sognava un impero universale e pacificato sotto un'unica fede, Filippo II lottò per mantenere e difendere un impero spagnolo e cattolico in un'Europa ormai lacerata da conflitti religiosi e nazionali.
Hai esplorato le sfide politiche ed economiche di due dei più potenti sovrani del Cinquecento. Adesso, vesti i panni di chi muoveva i fili della finanza europea.
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